Fase 2 e smart working: il lavoro agile per contrastare la pandemia

by Gesca
Avviata la “fase 2”: ripartenza a rallentatore e solo per alcuni settori, stretto rispetto delle norme igienico sanitarie e di prevenzione, prosecuzione dello smart working per chiunque sia abilitato a farlo. In che modo il lavoro agile aiuta non solo a scongiurare un nuovo picco della pandemia, ma contribuisce anche a modellare una nuova cultura del lavoro, basata su modalità e tempi in armonia con vita ed ambiente.
Fase 2 e lavoro: il contributo dello smart working
Nella Pubblica Amministrazione come nel settore privato, lo smart working è diventato da alcune settimane lo standard per moltissimi lavoratori.
Nonostante la “fase 2”, che ha leggermente allentato le maglie del lockdown, è disposta o quantomeno consigliata la prosecuzione del lavoro agile, come elemento strategico per evitare il rientro di massa sui posti di lavoro.
Si teme, infatti, un nuovo picco del contagio ed è, quindi, fondamentale mettere in campo tutti gli strumenti di contenimento sociale, senza però paralizzare le attività.
In questo senso, lo smart working è una risposta molto efficace.
Google Trends
Da esperimento relegato ad una ristretta parte dei lavoratori italiani, lo smart working ha visto una rapida diffusione dall’inizio dell’emergenza Coronavirus.
Le ricerche di Google confermano quello che già tutti abbiamo avuto modo di constatare.
I media ne parlano continuamente, sviscerandone pro e contro, ma tutti concordano sul fatto che lo smart working non è solo un valido strumento in tempo di crisi, ma un modello da implementare anche in seguito.
Una scoperta per molti
La sperimentazione forzata dello smart working ha dato la possibilità a moltissimi lavoratori di verificare i vantaggi del lavoro agile.
Ne citiamo solo alcuni, già ampiamente illustrati in precedenti articoli del nostro blog:
- miglioramento del work-life balance: una gestione del tempo migliorata, con la possibilità di conciliare vita privata e lavoro
- risparmio di risorse e meno stress: riduzione degli spostamenti e relative spese
- benefici ambientali e salute: abbattimento dello smog, minore incidenza dei disturbi respiratori aggravati dall’inquinamento
- maggiore soddisfazione e motivazione: possibilità di organizzare in autonomia il proprio lavoro, miglioramento dei rapporti con colleghi e Responsabili
Anche aziende e professionisti hanno beneficiato del lavoro agile, che ha permesso loro di non fermare del tutto le proprie attività o, in molti casi, di poter proseguirle tranquillamente, facendo lavorare i propri dipendenti da remoto.
Il digital workspace
Il concetto di digital workspace, legato allo smart working, sta prendendo concretezza dalla sperimentazione che sempre più lavoratori stanno facendo del lavoro agile.
Il fatto che si possa lavorare senza limiti di spazio e di tempo, senza essere vincolati alla presenza in ufficio, avendo a disposizione tutto ciò che serve per le proprie attività, influisce positivamente sulla produttività, come testimoniato da molte statistiche al riguardo.
C’è da osservare, però, che per chi può svolgere il lavoro da casa, spesso l’ostacolo è legato ai problemi di connessione.
Nel nostro paese è necessario fare ancora degli interventi strutturali importanti per assicurare un buon collegamento ad internet in ogni luogo.
Ad ogni modo, lo smart working “di massa” sta certamente aiutando imprenditori e lavoratori a superare i preconcetti legati al presenzialismo.
I datori di lavoro si stanno rendendo conto che il lavoro procede normalmente, senza differenze rispetto a quando era svolto in ufficio.
I lavoratori, se ovviamente forniti di tutte le dotazioni necessarie, stanno rilevando che moltissime attività possono essere svolte dal proprio salotto, anziché dalla scrivania.
Organizzazione e fiducia
Perché funzioni, lo smart working si basa su un patto di fiducia e collaborazione fra imprenditore e lavoratore.
Entrambe le parti devono potersi fidare l’uno dell’altro e soprattutto devono essere in grado di cambiare l’approccio al lavoro.
La fiducia è fondamentale; nello smart working (che è diverso dal telelavoro, vedi sotto) il dipendente ha libertà di scegliere tempi e spazi per svolgere le sue mansioni, quindi non c’è un controllo puntuale, come può accadere in ufficio, da parte del proprio Responsabile.
L’unica cosa davvero controllabile e valutabile è il risultato ed il modo in cui è stato raggiunto.
Il lavoratore, a sua volta, deve operare un cambiamento mentale, assumendo un atteggiamento più “imprenditoriale” nei confronti del proprio lavoro. Deve, cioè, organizzare il proprio flusso di lavoro in autonomia, focalizzandosi sugli obiettivi.
È necessaria, quindi, anche un’attitudine personale per riuscire a lavorare bene in modalità smart.
Una nuova cultura del lavoro
Come sottolinea il Direttore Generale di 4.Manager – Fulvio D’Alvia-, questa rivoluzione è destinata a lasciare un profondo segno nel mondo del lavoro.
Il cambiamento, infatti, è solo in parte tecnologico.
È prevalentemente culturale.
Lo smart working sta disegnando un nuovo scenario nel mondo del lavoro.
Per coglierne tutti i benefici, è necessario che dirigenti e manager siano preparati a gestire il cambiamento.
Riorganizzazione dei processi, ma anche delle relazioni; aggiornamento dei modelli di business, di gestione delle risorse, delle infrastrutture digitali.
Niente sarà più come prima.
Per certi aspetti, vogliamo credere che sarà meglio. C’è, però, ancora molto da fare.
Come afferma Monica Parrella, Direttrice Generale del personale del MEF,
se siamo riusciti in pochissimo tempo in oltre 8.000 persone a lavorare a distanza al Ministero, vuol dire che gli strumenti tecnologici esistevano già
Il cambiamento investe classe dirigente e lavoratori.
Non solo: come afferma Arianna Visentini, co-autrice di “Smart Working: mai più senza”
Servono strumenti di valutazione nuovi, che non si basino solo sulla presenza fisica
Il passaggio dal concetto di produttività, basata sul calcolo delle ore lavorate, a quello di valutazione degli obiettivi e dei risultati è una delle difficoltà più grandi da superare.
Un passaggio culturale, dunque, che la tecnologia può però supportare ed agevolare.
I problemi li risolvono le persone, non le macchine 🙂 noi ne sappiamo qualcosa.
Differenze fra smart working e telelavoro
Quello che in questo periodo di crisi è universalmente chiamato smart working, in realtà non lo è.
O meglio: le aziende che già in “tempi non sospetti” avevano integrato la pratica dello smart working nella propria organizzazione, avevano già rivisto i flussi di lavoro ed i processi in funzione della modalità agile per svolgerli, considerando la totale flessibilità da parte del lavoratore di scegliere spazi e tempi per operare.
Queste realtà stanno, quindi, applicando lo smart working come da definizione.
Quello che invece è accaduto nella maggior parte dei casi in questa emergenza, è stata una “trasposizione online” dell’attività svolta in ufficio.
Il telelavoro non è neppure una novità, a dire il vero; è presente da anni. Vincolo di orario, monitoraggio, verifica dell’operatività effettiva, calcolo orario.
La differenza sostanziale fra smart working e telelavoro è ovviamente sintetizzata alla perfezione da Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano:
…la vera caratteristica dello Smart Working è puntare sulla responsabilizzazione dei soggetti coinvolti: l’accento viene posto su obiettivi e risultati più che sugli orari e i luoghi della prestazione lavorativa, con un approccio quasi ‘imprenditoriale’. Lo Smart Working non è insomma un semplice telelavoro, impone un vero salto culturale e una svolta nell’organizzazione aziendale
Ecco perché, nella maggior parte dei casi, in tempi di pandemia sarebbe più corretto parlare di lavoro da remoto, piuttosto che di smart working.
Rapporti umani e smart working
Lo smart working ci ha anche dimostrato che non è poi così difficile mantenere relazioni professionali, seppur a distanza.
Grazie alla tecnologia, si è potuto proseguire, ad esempio, con riunioni e conferenze online.
Si può continuare a collaborare, portare avanti progetti, scambiare documenti, intrattenere rapporti con i clienti, erogare servizi; tutto, insomma, quello che rappresentava la routine quotidiana ora viene fatto tramite internet.
Prendiamo, ad esempio, la formazione: un settore che inizialmente è stato fortemente penalizzato dal lockdown, ma che ha saputo reagire prontamente alla crisi grazie alle tecnologie, trasformando i propri corsi in webinar online.
E mai come in questo periodo le persone hanno potuto dedicarsi anche alla propria crescita professionale.
Un capitolo a parte, poi, merita l’istruzione.
Qui ci limiteremo a dire che la DAD -didattica a distanza- sostanzialmente si basa sui concetti e sulle tecnologie per lo smart working.
Potremmo, in un certo senso, affermare che la DAD è lo smart working applicato all’istruzione.
Avviata tra non poche difficoltà (legate anche a fattori esterni, come la disponibilità di pc e di connessione), la Scuola ha superato il suo primo scoglio verso una autentica digitalizzazione.
Anche in questo caso, c’è ancora molto da fare, ma un primo, importantissimo passo, è stato fatto.
Una bella prova di resilienza
Ciò che ha stupito tutti è stata la velocità di adattamento allo smart working da parte dei lavoratori.
Soltanto uno shock di questo tipo è riuscito a dimostrarci che come facevamo prima era un retaggio del “si è sempre fatto così”: abbiamo fatto un passo avanti di dieci anni, ma senza essere preparati
Il punto è proprio questo.
La pianificazione è importante, ma a volte rischia di rallentare l’applicazione e la verifica di una innovazione; si fanno più progressi sperimentando sul campo.
Se non altro, a questa terribile pandemia dovremo attribuire il merito di aver accelerato un cambiamento che era avviato, ma che faticava a decollare, a causa di zavorre mentali e, solo in parte, tecnologiche.
Ecco, quindi, che le imprese dovranno rivedere i propri modelli di business, per renderli “agili”, pronti al cambiamento.
Per essere pronti, da oggi in poi, al prossimo cigno nero…
Quello che sta accadendo in queste settimane, dimostra che ce la possiamo fare. Con sforzi, investimenti, aggiustando il tiro, ma possiamo farlo.
Prospettive dello smart working dopo l’emergenza
Dopo la lenta, ma comunque costante, crescita del lavoro agile in Italia negli ultimi 3 anni, oggi i lavoratori smart, a causa della pandemia. hanno superato il milione di unità.
Adesso ci si interroga se e come le aziende faranno tesoro di questa esperienza, rendendo il lavoro agile una pratica normale e non più straordinaria, legata a situazioni di emergenza.
L’Osservatorio del Politecnico di Milano continua a registrare una tendenza all’adozione dello smart working anche da parte delle piccole imprese, che riducendo il personale in ufficio possono, ad esempio, ripensare gli spazi dell’ambiente di lavoro, risparmiare sui rimborsi legati allo spostamento del personale ed abbassare notevolmente il tasso di assenteismo.
I vantaggi, insomma, come abbiamo visto, sono davvero tanti sia per i dipendenti che per le aziende.
L’impegno dovrà essere quello di farne un “sistema”, anche mettendo a fattor comune esperienze, aggiornando le proprie dotazioni, le competenze, formando le risorse e la dirigenza, affinché si possa trarre il maggior vantaggio possibile dall’esperienza fatta e si possa riprogettare il nostro modo di lavorare.
Possiamo ragionevolmente credere che questo esperimento avrà un seguito, nella nostra futura “nuova” normalità.
Lo smart working potrebbe innescare un ciclo virtuoso, in cui essere tutti parte attiva di un cambiamento, tanto più necessario se si considerano le ragioni che ci hanno spinto ad avviarlo.
Fonti
Il Sole 24Ore
Quotidiano.net
Open Innovation
AGI
Startup Italia
Fortune
Sputnik News
Eco Stampa
Il Sole 24Ore
Vita
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Gesca è THALES Silver Partner
20 Settembre 2022