Il cloud e la ripresa

by Gesca
Che impatto hanno avuto tutti questi mesi di pandemia sulla digitalizzazione delle aziende italiane?
A dispetto di molti pronostici, le organizzazioni hanno lavorato sodo per conquistarsi un posto, di tutto rispetto, nella “nuova normalità”, sfruttando il cloud per la loro ripresa.
Il cloud e la ripresa
Per molte aziende, il periodo che precede la pausa estiva è un’occasione per fare un primo bilancio, in vista della seconda parte dell’anno.
Gli ultimi mesi hanno visto una ripresa (finalmente), sebbene non decisa, degli incontri in presenza e questo ha permesso di ascoltare ancora meglio la voce dei clienti ed i loro progetti per il futuro.
E sono tanti.
Dopo una prima fase di blocco e disorientamento, le imprese hanno reagito ed hanno reso sempre più concreto, mese dopo mese, il tanto ripetuto concetto di resilienza.
Anzi, sono andate oltre.
Un interessante articolo oppone a questo termine, resilienza, quello di anti-fragilità:
L’anti-fragilità descrive, infatti, la caratteristica di un sistema di cambiare e migliorare a fronte di fattori di stress esterni, al fine non di proteggersi, e quindi di ritornare allo stato iniziale, bensì di adattarsi a un contesto nuovo.
Ci sembra la lente più giusta per leggere il cambiamento che stiamo vedendo.
Stasi e ripresa
Ebbene sì; a quanto pare, le aziende si sono adeguate alla nuova normalità. Da qui ripartono per fare nuovi progetti.
Gli investimenti in digitalizzazione sarebbero addirittura aumentati, seguiti da quelli per la formazione sulle nuove competenze, necessaria per accompagnare il cambiamento.
Sì, perché il modo di produrre e lavorare è profondamente cambiato.
Le aziende hanno rapidamente preso atto che il periodo della pandemia si sarebbe protratto ancora a lungo e che si sarebbe dovuto uscire il prima possibile dalla stasi, ragionando su come ripartire.
Cloud migration
Le istanze dei reparti IT, però, restano sempre le stesse:
- Ridurre i costi delle infrastrutture
- Aumentare le performance
- Rispondere rapidamente ai cambiamenti
La pandemia, lo sappiamo, ha incentivato il ricorso allo smart working ed al modello as-a-service per l’utilizzo delle risorse aziendali.
Rispetto a dieci anni fa, il dibattito sul cloud si è spostato dal “SI”o “NO” al “quale”.
L’hybrid cloud rappresenta attualmente la scelta preferita, perché permette alle organizzazioni di realizzare il passaggio in modo funzionale rispetto all’analisi dei bisogni.
Il cloud pubblico assicura un risparmio economico, perché sfrutta le economie di scala.
Quello privato, invece, può accogliere le risorse business critical e i dati sensibili.
Il ruolo della consulenza
Qualsiasi progetto di migrazione implica , si è detto, un’analisi dei bisogni.
Per un passaggio graduale, è consigliabile prima di tutto individuare quali asset collocare sui diversi cloud a disposizione. Questo consente anche una visione chiara del budget necessario e di come si può ottimizzarlo.
La protezione durante il passaggio dei dati è chiaramente fondamentale; parliamo, in particolare, di crittografia durante tutto il flusso di trasferimento.
C’è, poi, l’impostazione dell’autenticazione a due fattori. Questa è ormai una pratica indispensabile, adottata da sempre più aziende, soprattutto a causa dei gravi danni apportati dagli attacchi informatici.
Altro punto importante è la rete, la cui progettazione deve essere estremamente accurata ed affidata a risorse ben qualificate.
Queste, in sintesi, le ragioni per le quali è importante anche la scelta del partner che accompagnerà l’azienda nella sua cloud journey.
Fonti
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